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L’ospedale delle madri bambine

Kevin ha tre mesi, ma braccia e piedi sono tanto paffuti che ne dimostra almeno sei. Nella salopette blu succhia avido dal biberon che la mamma gli dà, distesa accanto a lui su un materasso verde, circondata da giochi e animali di pezza.

Lei si chiama Samantha, i capelli castani le incorniciano un volto bambino, senza una ruga. Samantha ha 18 anni e ne aveva 17 quando Kevin è nato, dopo una gravidanza cercata, progettata. Voluta. Perché sono tutti bambini desiderati quelli seguiti dall’ambulatorio dell’ospedale San Paolo “Giovani gravidanze”, che aiuta le ragazze tra i 14 e i 20 anni durante i primi due anni di vita del bimbo, insegnando loro cosa vuol dire essere genitori, per scongiurare malaccudimento o abusi; tra telefilm di Mtv, libri di scuola sulla scrivania e pannolini accatastati sul comodino.

Abitano in periferia, tra via Depretis, via San Vigilio e via San Paolino queste mamme bambine. Nel 2010 i parti under 18 al San Paolo sono stati un’ottantina, 340 in città — secondo la Asl e i consultori — contro i 253 del 2009. Nei primi sei mesi del 2011, nell’ospedale in zona Barona, su 800 partorienti il 5,5 per cento è minorenne: cinque anni fa era il 4,5. Oltre la metà sono italiane, in un caso su quattro hanno tra i 14 e i 18 anni. Ed è proprio di loro che si occupa l’ambulatorio, partito in via sperimentale nel 2007 e nel 2011 e finanziato per tre anni dalla Fondazione Cariplo su proposta della Fav, la Fondazione ambrosiana per la vita. Ad oggi, sono una cinquantina le adolescenti che sono state seguite in queste stanze invase da giochi e peluche, con pareti chiare, coperte e cuscini sul pavimento, come per un pigiamaparty tra amiche.

Tra loro c’è Anna, che ha 17 anni, un padre e un fratello in prigione e una madre appena trentenne — che l’ha avuta quando aveva 16 anni — che dopo di lei ha messo al mondo altri quattro bambini. Otto mesi fa Anna ha partorito Nicole, che ha la pelle scura come il papà, un ragazzo nordafricano di 22 anni, da due ai domiciliari, e con cui Anna convive da quando ne aveva 15. «Alla fine, il fatto che lui sia costretto in casa non è male, almeno si occupa delle faccende domestiche», dice lei ai medici.

Nicole invece è arrivata dopo due aborti: «Un caso comune, visto che la maggior parte di queste ragazze — spiega Margherita Moioli, psicomotricista ogni giorno a contatto con le mamme-bambine — rifiuta i contraccettivi. E quasi sempre cerca la gravidanza». Che diventa un modo per emanciparsi e conquistare — in situazioni e famiglie spesso borderline — una propria autonomia. «Sia la gravidanza sia i primi mesi del bimbo — spiega Alessandro Albizzati, neuropsichiatra alla guida dell’ambulatorio — sono periodi nei quali gli equilibri sono delicati, soprattutto nel caso di mamme così giovani. Per loro la maternità è spesso anche generazionale: moltissime sono figli e nipoti di madri e nonne che avevano a loro volta partorito a 15 o 16 anni».

All’ambulatorio collaborano i ricercatori di Psicologia della Bicocca, coordinati dalla professoressa Cristina Riva Crugnola. Il lavoro è diviso in due parti: quella che precede la nascita — «Le psicologhe aiutano le future mamme, a partire dalle ecografie, a stabilire un legame con il bimbo, per far capire loro che è un evento reale, che sta accadendo davvero» spiega la professoressa Anna Maria Marconi, alla guida di Ostetricia e ginecologia — e quella postparto. Il primo anno gli incontri sono ravvicinati: «Seguiamo anche madri adulte — spiega Moioli — che vengono da noi una volta al mese. Una frequenza insufficiente, però, per le adolescenti, da seguire, spronare e incoraggiare di continuo». Dall’allattamento allo svezzamento, dalla ninna nanna alla ricerca del nido. Quasi per tutte è il primo figlio. Come per Anita, che ha partorito la sua bimba due anni fa, quando ne aveva 16. A chi le chiedeva cosa avrebbe fatto, rispondeva che avrebbe cercato un lavoro da operaia, come sua madre: «Perché tanto, io, la mia vita ormai l’ho fatta».

(27 Settembre 2011)

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