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Piano infanzia, le Regioni: “Non ci sono risorse”

Uno strumento valido, ma che senza fondi diventa solamente un esercizio di parole senza alcuna utilità concreta.

La Conferenza delle regioni ha espresso parere negativo sul Piano Infanzia, presentato dal governo su proposta dell’Osservatorio Infanzia e adolescenza e attualmente all’esame della commissione bicamerale Infanzia.

La decisione è stata confermata e ufficializzata nel corso della Conferenza dei presidenti delle regioni, che all’unanimità hanno convenuto di non poter esprimere un parere positivo su un Piano completamente “svuotato di risorse”. La decisione delle regioni è stata nel primo pomeriggio comunicata, nel corso di una audizione specifica, alla Commissione bicamerale Infanzia dalla coordinatrice della Conferenza per le Politiche sociali, l’assessore della Liguria Lorena Rambaudi.

La Conferenza delle regioni mette in risalto soprattutto l’assenza di un presupposto di base (le risorse economiche, appunto) che inficia qualsiasi considerazione sulla portata delle azioni proposte dal Piano. Una considerazione aggravata dal fatto che in alcune schede del Piano vengono richiamati i Livelli essenziali di assistenza, che allo stato attuale però non esistono. La posizione critica delle regioni si aggiunge a quella espressa con un documento da Anci e Upi e a quella manifestata anche da numerose associazioni e organizzazioni presenti nell’Osservatorio: tutte hanno sottolineato la mancanza di fondi e l’impossibilità concreta di tradurre in azioni le indicazioni del Piano. L’iter del provvedimento, comunque, va avanti.

“C’è delusione – afferma l’assessore Rambaudi – perché lo strumento è potenzialmente valido, ma così rischia di essere virtuale e un lavoro tecnico importante diventa, senza programmazione finanziaria, solamente un bell’esercizio di parole, e nulla più. Tutte le azioni, anche quelle di prevenzione, hanno un costo, e purtroppo non è che le cose si facciano da sole” “Siamo preoccupati – continuam la coordinatrice Politiche sociali della Conferenza delle regioni – anche perché così si crea e si rinnova un’aspettativa che poi però il locale e il territoriale non riuscirà ad applicare”.

Rambaudi tiene a specificare che, sebbene anche il precedente Piano infanzia non prevedesse un finanziamento specifico, esso andava comunque a pescare nel Fondo sociale indistinto. “Ma nel 2005 – dice Rambaudi – c’erano un miliardo di euro, mentre oggi il Fondo sociale, con 75 milioni, praticamente non esiste più: è tutta un’altra storia”.

Se dunque il primo Piano Infanzia della storia (anni 2000-02) poteva contare su risorse dedicate, e il secondo (anni 2002-04) sul riferimento al corposo Fondo sociale indistinto, il terzo, quello che dovrebbero nascere ora (il Piano è atteso da oltre sei anni), di fatto non potrà contare su alcun finanziamento. Di fronte a questo fatto, passano dunque in secondo piano quelle osservazioni specifiche che le regioni fanno sul contenuto del Piano: la previsione di un piano a livello nazionale sui servizi per l’infanzia, senza passare per i livelli territoriali o l’errore dell’inserimento delle province (che non hanno competenze) nella rete dei servizi.

“Per quanto importanti – conclude Rambaudi – si tratta di dettagli quasi squisitamente tecnici: il dato politico è che senza risorse questo Piano non svolge la sua funzione e rimane solamente una bella descrizione di ciò che potrebbero fare i servizi per l’infanzia”.

(6 Dicembre 2010)

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