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Quei mostri che ci fecero adulti

5776_b.jpgLa vita non si porta avanti bene se non si possono “tastare” nei desideri di tenerezza gli oggetti-ricordo dell’infanzia, le cose che hanno costruito il futuro di ogni bambino, quelle indissolubilmente legate ai suoi passaggi e alle sue faticose crescite.

Questa, in sintesi, la verità di Michele Mari nel suo romanzo “Tu, sanguinosa infanzia”, narratore dunque di sé bambino, ipersensibile, estremamente fantasioso, introverso e perennemente immerso nelle fantastiche avventure dei protagonisti delle sue letture infantili e adolescenziali.

Ridonda così l’infanzia del piccolo Michele di visioni coloratissime, di storie sempre nuove dei suoi personaggi, in cui fanno capolino le figure familiari, anche loro complici dei plot narrativi; nonni, padri e madri, che sottostanno alle allucinazioni fantasiose del loro piccolo, permettendogli di ricordarli come testimoni che non invadono il territorio della sua invenzione. I mostri “ungolati …fiammanti …bituminosi …crestati…” delle copertine di Urania palpitano davvero fuori dalla carta per confluire in metamorfosi d’orrore, per farsi tridimensionali per la memoria dei piccoli da adulti, invadere la tenerezza dei ricordi di un nonno, che ne faceva raccolta e ne leggeva le avventure, omino lillipuziano che si difende dal ragno con un chiodo, larve in chimica vita dentro alla muffa dei muri, pianeti dimenticati, città perdute…

Anche l’oscuro buono dei racconti western che muore con una pallottola nel cranio a tradimento senza aver visto in faccia i suoi assassini – Mi hanno sparato e sono morto – confida a Michele, prendendone il posto per fare sua l’angoscia dei perdenti. Mentre otto scrittori di avventure, i più famosi nel mondo – Giulio Verne, Emilio Salgari, Jack London, Daniel Defoe e altri – si aggiudicano un racconto nuovo coniato dalla straripante fantasia del piccolo, che li unisce prima per disperderli nel nulla, e poi recuperarli uno per uno, legati dall’affetto comune per i loro personaggi, da quello dei piccoli lettori e dalla forza creativa della scrittura.

E tra un’avventura e l’altra appare un padre con un doppione di libro in dono, causa di sensi di colpa nel figlioletto, ed una madre abilissima nei puzzles, fino a quindicimila ed oltre pezzi!, che nella costruzione solitaria, senza futuro, istintuale persino e infine quasi esclusivamente digitale ripone l’altissima meta di un’opera d’ingegno unica e irripetibile, insegnata al piccolo Michele con cura maniacale.

In mezzo a tutto questo agitarsi di spiriti veri o presunti, oppure immaginati, conclude il bambino Michele, “Quando una persona sorride troppo sospetto che non sia vera: la Finta Madre, il Finto Zio, il Finto Cartolaio mi fanno pena per il destino dei loro originali…”.

(28 Marzo 2009)

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