Me Agape Reportage

Salvate il soldato bambino

images-4.jpgBienvenu Kakulé sa come torturare un uomo con il coltello. Sa come farlo soffrire a lungo, pizzicandolo al ventre e in testa senza mai affondare la lama, prima di finirlo con un fendente alla gola.

Ma Bienvenu non sa leggere. Non ha un lavoro, né una casa. Non ha più neanche una famiglia. A 17 anni questo ex bambino-soldato, o ex kadogo, neologismo locale che indica “una piccola cosa, senza importanza”, vorrebbe tornare sui banchi di scuola. “Sono stato arruolato quando avevo 9 anni, e a 10 avevo già ucciso il mio primo prigioniero: il nostro comandante ce li lasciava a noi, gli ostaggi, perché sosteneva che i bimbi non provano pietà”, racconta Bienvenu.

Lo incontriamo nel centro Madre Misericordia di Kamituga, duecento chilometri a Sud del lago Kivu, nel cuore di quella che una volta era un’ampia giungla di montagna, e che il disboscamento e l’erosione hanno reso un’interminabile sequela di colline calve. Il centro è appena stato ristrutturato dalla Cooperazione italiana, che adesso gli fornisce farmaci, lettini ginecologici, zanzariere, libri scolastici e soldi per acquistare cibo. Qui, infatti, oltre agli ex kadogo, sono promiscuamente ascoltati, auscultati, consigliati, ospitati e nutriti malati di Aids, donne violentate, vedove di guerra e un centinaio di orfanelli. “Ma sono proprio gli ex bambino-soldato i più difficili da aiutare perché la gente ha ancora paura di loro e nessuno vuole assumerli”, dice Fabrizio Falcone dell’ufficio della Cooperazione di Goma.

Bienvenu è stato smobilitato pochi mesi fa grazie all’operato dell’Unicef. “Cerchiamo di recuperare i ragazzi negoziando direttamente con i ribelli: dal 2005 ne abbiamo liberati 34.000, e 2.953 solo dall’inizio del 2009”, spiega la newyorchese Tasha Gill, specialista della protezione dei bambini nel conflitto congolese. “Nel paese abbiamo creato 17 centri per accogliergli e paghiamo 250 famiglie per un loro primo reinserimento”. Già, perché smobilitarli non basta. Per scongiurare il rischio di riarruolamenti è necessario seguire da vicino i loro primi passi verso la normalità. “Molti recuperano, ma per altri è più difficile. Mi riferisco a coloro che hanno sofferto di più, che hanno assistito allo stupro di persone care, o ai quali è stato chiesto di uccidere un genitore o una sorellina”. Per loro sono necessarie cure psichiatriche o psicologiche, che spesso però non possono seguire, sia per mancanza di farmaci sia di personale specializzato.
Bienvenu ci aspetta assieme a una decina di suoi compagni di sventura. Tutti loro sono stati carne da macello per le milizie implicate nella guerra infinita che dal 1996 nel Congo orientale ha già prodotto 4 milioni di morti. Quando combattevano assieme ai ribelli hanno tutti patito la fame, la fatica, le malattie. Hanno tutti violentato, saccheggiato, ucciso. Quell’infanzia trascorsa tra marce forzate nella giungla, digiuni e imboscate ha lasciato cicatrici difficilmente sanabili: due dei dieci ex kadogo del centro di Kamituga tartagliano, tre hanno deturpanti tic nervosi.

Le loro storie si somigliano tutte. Racconta Mukulutombo Kisimbi: “Quando avevo 12 anni il mio villaggio è stato circondato dai ribelli Mai Mai, i quali hanno prima ucciso mio padre, poi dato fuoco alle case. Sono stato costretto a seguirli nella giungla. Mi hanno picchiato fino a quando non ho imparato a combattere”. Dice Christian Nyangi: “Avevo 8 anni quando sono stato preso. Vista l’età, pensavo che non mi avrebbero fatto combattere. Mi sbagliavo. Mi hanno messo in prima linea. Facevo finta di mendicare per le strade. Appena i nemici mi davano le spalle io li attaccavo”. Riferisce Kilongo Lipanda: “Un giorno mi sono rifiutato di andare a saccheggiare un villaggio e mi hanno bastonato. Alla fine sono stato costretto a unirmi agli altri. In quel villaggio viveva la mia famiglia”.

Ma quanti sono i kadogo nel Congo orientale? Nessuno lo sa. E nessuno osa ipotizzare cifre. “Sappiamo però che le milizie continuano ad arruolarli o riarruolarli con violenza”, spiega la Gill. “Ci sono anche coloro che si arruolano volontariamente, abbagliati dall’illusione di facili guadagni, ma non superano il 20 per cento”. Si sa anche che più della metà degli effettivi delle venti milizie ribelli del Congo orientale è composta da kadogo. Ci sono bambini-soldato perfino nelle Forces armées de la République Démocratique du Congo, le regolari Fard, che dovrebbe invece impedire l’arruolamento dei bimbi tra i ribelli, e che sono accusate di compiere nei villaggi le stesse scorrerie della guerriglia, con la medesima ferocia. Dice ancora Falcone: “Il problema è che il governo non ha soldi per pagare neanche i propri soldati: compiono tutti atrocità contro i civili, poi si scaricano l’un l’altro la colpa”.

Dei quasi tremila kadogo liberati lo scorso anno, solo 387 sono bambine (le più giovani hanno 12 anni). Per i soldati, regolari o ribelli che siano, più che “combattenti” queste sono considerate donne a tutto tondo, e perciò destinate a fare il bucato, cucinare, soddisfare i loro appetiti sessuali. Perciò, quando un’organizzazione internazionale riesce a identificarne la presenza in una milizia, è molto difficile che vengono liberate. Ora, secondo Felix Ackebo, capo sezione dell’Unicef a Goma, la maggior parte delle volte sono le bambine stesse che rifiutano di abbandonare la guarnigione di chi le ha schiavizzate. Hanno paura della libertà, perché una volta diventate “serve” della truppa, il loro villaggio e la loro famiglia si rifiuteranno di accoglierle nuovamente, poiché nessuno vorrà sposarle. “Che i kadogo vengano arruolati per combattere, per soddisfare le voglie sessuali dei capi, che siano destinati ai lavori forzati nelle miniere o al trasporto delle armi, a noi poco importa: in ogni caso si tratta di violazione dei diritti dell’infanzia”, spiega Ackebo.

Come spiega Paolo Urbano della nostra Cooperazione a Kinshasa, nel Congo orientale c’è una mescolanza di problematiche etniche e di enormi interessi commerciali. È come se il paese fosse vittima della propria ricchezza. “Il governo non ha i mezzi per proteggere quel territorio ambito da tutti perché pieno di legni pregiati e di minerali costosissimi. Qualsiasi ditta che voglia sfruttare queste risorse deve pagare una sorta di pizzo a chi controlla militarmente la regione. Perciò le alleanze tra ribelli si creano e si disfano di continuo, e ogni fazione ha sempre bisogno di nuovi uomini, di staffette, cecchini, sentinelle e così via”. Ha bisogno, cioè, di manovalanza armata. Anzi di bassa manovalanza, perché non pagata. O di kadogo, che sono appunto “una piccola cosa”, e che non costano nulla. Basta arruolarli, o meglio, rapirli dopo aver depredato un villaggio.

Le testimonianze dei dieci ex kadogo del centro Madre Misericordia non sono storie di bambini-soldati, ma piuttosto di martiri-soldato. Racconta ancora Bienvenu: “Quando nella giungla non trovavamo scimmie o serpenti a cui sparare, eravamo costretti a rubare il bestiame nei villaggi. Un giorno mi hanno costretto a mangiare carne di un militare ucciso. Se avessi rifiutato, mi avrebbero ammazzato come avevano fatto con altri bimbi”.

Adesso Bienvenu sta imparando a leggere. Vorrebbe prendere la licenza elementare, e un giorno diventare agronomo. Il suo è solo un sogno, perché è disoccupato, e non ha neanche i pochi franchi necessari per iscriversi a scuola. Ma lui ci crede ugualmente. Dopotutto, nel corso della sua breve vita, ha affrontato situazioni ben più difficili.

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