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Le frasi da NON dire al bimbo per farlo mangiare

E’ sempre difficile essere genitori efficaci. Di informazioni e indicazioni ne abbiamo a disposizione tante però metterle tutte pratica è difficile, se non impossibile. In particolare quando dobbiamo misurarci con il mangiare dei nostri figli. Per non viziarli, nutrirli bene, educarli ai sapori, abituarli a una dieta bilanciata, passargli il nostro amore… Che stress!

Sicuramente una tappa delicata, nel percorso dell’alimentazione, è lo svezzamento. Il primo passo di svincolo da una dipendenza totale con la mamma, non scelto di solito dal bambino, ma imposto. La manovra per passare alle pappe in genere prevede un bimbo allacciato su una sedia gigante (il seggiolone), un piattino con un miscuglio strano da ingoiare e una mamma – o un papà, in questo caso il “mammo” – spesso carica di emotività, che propone, a volte impone, il cucchiaino pensando ‘chissà se mangia’, ‘deve mangiare tutto’, ‘ora come faccio a farlo mangiare’ … Capita facilmente che l’ansia materna “della buona nutrice” carichi questo momento intimo e spontaneo di preoccupazioni inutili, finendo di mescolare alla minestrina emozioni dai sapori ambigui, spesso mal gestite. Se il bimbo mangia, la mamma è contenta, se non lo fa (serra le labbra, sputa, ride senza ingoiare…) la mamma rimane male, si turba, si innervosisce. ‘Perché non mangia?’, ‘Non sta bene, non vado bene come mamma’, ‘cosa sto sbagliando’, ‘mi fa un dispetto’, ‘mi rifiuta’… sono tante le sensazioni che si smuovono. Di sicuro, inconsapevolmente, il bambino avverte che la cosa che è chiamato a compiere, su quel trono grandissimo, è veramente importante: ha il potere di rendere felice o infelice la sua mamma.

Intuito il potere di cui si dispone, “mangio-non mangio” da parte del bambino/”se non mangi non ti faccio, non ti do, non ti voglio” da parte della mamma, il gioco del ricatto è servito. Un incastro perfetto, dove ognuno dei due partner della relazione cerca, con i propri strumenti, di esercitare potere sull’altro. Un'”arma” che il piccolo e la mamma imparano a utilizzare per ottenere, farsi ascoltare, pretendere. Non sempre, ovviamente, la situazione si complica. Ma il momento del mangiare si presta con facilità a giochi controversi. Non è raro che diventi, con il tempo, teatro di disagi diversi, campo di battaglia per dimostrare chi la vince, mezzo per comunicare difficoltà, a volte rifiutando il cibo, altre riempendosi senza controllo. Ingredienti che a lungo andare possono segnare percorsi verso veri disturbi alimentari.

Attraverso il cibo si gioca comunque uno scambio affettivo di per sé carico di significati, che vanno ben oltre il numero delle calorie e dei nutrienti. Per il bambino è un’esperienza nutritiva anche a livello affettivo, attraverso la quale sente quanto è compreso, amato, soddisfatto. Una certa leggerezza, la disponibilità a capire o ascoltare quello che il bimbo preferisce, una tolleranza verso pasticci e rifiuti passeggeri, una gestione solida delle proprie ansie, sono necessari per rendere “digeribile” la pappa e la mamma.

ECCO DUNQUE LE FRASI E GLI ATTEGGIAMENTI DA EVITARE
“Se non mangi non ti compro, non ti porto, non ti voglio..” così come “Se mangi ti compro, ti porto, ti faccio”. Il cibo non può essere usato per altro, non si mangia per far piacere a qualcuno e non è una prova d’amore.

“Se fai il bravo ti do una caramella”, “hai fatto i capricci niente gelato”. In questo modo usiamo il cibo come premio o punizione, andando, tra l’altro, ad aumentare la preferenza per i cibi desiderati che, in genere, sono quelli meno sani.

“Devi mangiarlo perché l’ho preparato apposta per te” in questo modo gli diciamo che ci siamo impegnate e sacrificate per lui e se non mangia ci fa dispiacere, facendo leva sui sensi di colpa.

“Devi mangiare quello che c’è nel piatto/devi mangiare tutto” Che tortura! Il cibo come dovere. Un modo per allontanare il piacere della tavola. Il bambino non mangerà e gradirà sempre tutto, come noi del resto. Mettiamoci nei panni del piccolo: cosa diventerebbe il momento di mangiare sapendo che dobbiamo mangiare e finire a tutti i costi, anche se non abbiamo fame o non ci piace?

“Sbrigati” Mangiare lentamente è buona abitudine. Se si dilunga troppo forse non ama quello che sta mangiando oppure lo fa apposta. Se riusciamo a non dare troppa importanza alla cosa e a non tormentarlo inutilmente, non ne faremo motivo di tensione.

“Hai mangiato a scuola? Quanto? Cosa?”. Il bambino ci sente, non chiedere insistentemente cosa ha mangiato, non far sentire che le tue preoccupazioni ruotano esclusivamente intorno al cibo.

“Ora mangi questa cosa buona così starai meglio”, oppure vedendolo arrabbiato, annoiato o triste “ti preparo il tuo piatto preferito”. Usando il cibo come consolazione o conforto, gli diciamo che ci si può sentire meglio con una cosa da mangiare, si mascherano le emozioni con gratificazioni immeditate date da un alimento, condizionando il rapporto con il cibo.

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