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Politica e società disattente, la scuola torni una priorità

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Per il battesimo ufficiale l’appuntamento è al Salone del libro di Torino. Sarà lì che verrà presentato l’appello che alcune tra le più importanti case editrici italiane hanno sottoscritto in difesa della scuola pubblica.

Una lettera aperta inviata al Parlamento, al governo e al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per richiamare l’attenzione sul tema dell’istruzione pubblica. Tra i firmatari Rizzoli, Feltrinelli, Giunti e Sellerio. In prima fila, Giuseppe Laterza, presidente della casa editrice omonima.

La vostra campagna si chiama “Prendiamo sul serio il nostro futuro”. Che cosa vi ha spinti a promuovere questa iniziativa?

“Innanzitutto l’indifferenza con cui la società ha trattato la scuola pubblica da sempre, con pochissime eccezioni: penso a Piero Calamandrei, Don Milani o Tullio De Mauro. La stessa indifferenza manifestata dalla politica che, anche in questo caso con poche eccezioni, non si è mai impegnata veramente su questo tema. Come si fa ad educare i giovani ad affrontare un futuro incerto come quello che li attende, se poi nessuno si impegna a porre il tema dell’istruzione come una priorità del dibattito pubblico? Per questo ci siamo riuniti insieme agli altri editori, per riportare l’attenzione su un argomento che sembra troppo spesso sottovalutato se non dimenticato”.

La politica ricopre, in questo senso, un ruolo decisivo. Eppure il presidente del Consiglio ha ripreso ad attaccare la scuola pubblica sostenendo, soltanto pochi mesi fa, che “inculca principi sbagliati”.

“Non vogliamo che la nostra campagna venga strumentalizzata in una delle tante dispute politiche in corso. Vorremmo volare un po’ più in alto e cercare di aprire un grande dibattito, a cui speriamo possano partecipare tanti attori diversi, dalla cultura alle imprese. Vogliamo confrontarci su alcune domande di fondo, porre noi le questioni, piuttosto che inseguire e replicare a questa o quella esternazione politica. Ora, lanciato l’appello, cercheremo di raccogliere il maggior numero di adesioni che spero contribuiranno a sensibilizzare l’opinione pubblica”.

Però se avete deciso di promuovere questa campagna proprio adesso significa che c’è una maggiore disattenzione da parte della politica su questo tema.

“Questo senz’altro. Bisogna arginare un rischio che si sta via via sempre più concretizzando. Quello di un’educazione separatista e parcellizzata, in cui ognuno si ritaglia l’istruzione su misura, a seconda della propria condizione sociale o persino della propria religione. Si rischia un passo indietro di trecento anni, un ritorno nel Settecento, quando i signori, o chi se lo poteva permettere, ricevevano a casa gli insegnanti per i loro figli. Rischiamo quello che in altri paesi sta già diventando una realtà. La divisione in istituti di serie A e di serie B, lasciando confinate in questi ultimi le fasce sociali più deboli. La scuola pubblica deve essere invece il luogo del pluralismo e dell’integrazione dei valori, il posto dove queste diversità diventano una ricchezza”.

Il vostro appello cita in particolare due articoli della Costituzione, il 33 e il 34, che si riferiscono anche alla libertà di insegnamento e all’estensione dell’obbligo scolastico. Pensa che le politiche di questo governo abbiano messo in pericolo questi principi costituzionali?

“Bisogna partire prima da un altro articolo, il 3. Quando si dice che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, si definisce anche qual è il ruolo primario dell’istruzione pubblica. È la scuola che rimuove questi ostacoli. Attaccarla o indebolirla significa disattendere anche il dettato costituzionale. Sia chiaro, questo non significa che anche il privato non possa avere un ruolo. Lo stesso Calamandrei diceva che la scuola privata non è pericolosa, ma “solo e soltanto” quando quella pubblica è “forte e sicura””.

Per costruire una scuola “forte e sicura” occorrono degli investimenti consistenti da parte dello Stato, eppure l’Italia è tra i paesi in Europa che spende meno per l’educazione. Il rischio è che si crei il fenomeno opposto.

“Non è rischio, è una realtà. Basta guardare i dati. Il nostro paese non cresce economicamente, non ha una produttività adeguata alla posizione che occupa in Europa e nel mondo e c’è anche un imbarbarimento generale della vita quotidiana. Per non parlare dello strapotere enorme della televisione. In nessun altro paese c’è un divario così forte con gli altri consumi culturali. Anche nonostante la rapida crescita di internet, la tv è ancora lo strumento con cui la maggior parte degli italiani si fa un’idea del mondo. Ci sono case con due o tre apparecchi per abitazione in cui però non entra mai un libro o un giornale, o dove non si va mai ad una mostra o a uno spettacolo teatrale. È spaventoso, e anche questa è una diretta conseguenza del mancato investimento nella scuola pubblica”.

(16 Maggio 2011)

 

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