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Famiglia senza coppia?

«Primo principio. Qualunque misura venga adottata in campo legislativo, e in generale qualsiasi decisione venga presa in ogni settore della società, ebbene tutto questo deve tener presente che l’interesse del bambino è supremo, quindi prevalente su qualsiasi altro».

Il professor Gabriel Levi si occupa di infanzia da un’intera vita: dirige l’Istituto di neuropsichiatria infantile dell’università «La Sapienza» di Roma ed è dunque considerato, a pienissimo titolo, uno degli eredi diretti del lascito di Giovanni Bollea, padre della Neuropsichiatria infantile italiana, essendone stato allievo. Da studioso serio si rifiuta di rispondere schematicamente a una domanda solo superficialmente immediata («può un single essere un buon padre o una buona madre senza l’altra metà di una coppia genitoriale tradizionale?»).

A una prima premessa ne fa seguire una seconda: «Altro punto fondamentale. Un bambino non è solo una persona in formazione, destinataria di una educazione, ma è da subito un soggetto attivo titolare di diritti… tutti lo dicono e lo sottoscrivono ma non sempre tutti lo ricordano quando si dovrebbe». E solo ora si può cominciare a discutere, col professor Levi, della novità non secondaria introdotta dalla Cassazione: «Molti bambini nascono in famiglie tradizionali già orfani di uno dei due genitori. Il padre magari scompare per diverse circostanze prima della nascita o la madre muore nel darli alla luce. Spesso avviene che quell’unico genitore si riveli da solo un ottimo educatore.Ma non sempre è così. Dipende appunto dalle circostanze».

Ma per arrivare al punto della questione: un bambino può crescere bene, può essere allevato adeguatamente da un genitore adottivo single? «Partiamo da un presupposto. La condizione ideale è indubbiamente una coppia di genitori in buona salute, giovani, che possibilmente vadano d’accordo, psicologicamente maturi e motivati. Più ci si allontana da quel punto e da quella ipotesi, più la forbice si allarga magari in nome di interventi legislativi, più oggettivamente si rischia di non rispettare quel diritto supremo e prevalente del bambino, cioè di crescere nelle migliori possibilità» .

Naturalmente, professore, c’è anche un altro diritto. Quello dell’individuo singolo che desidera adottare un bambino e di fronte alla legge vuole essere «uguale» a una coppia tradizionale… «Ma certo, che c’è quel diritto. Io posso essere un uomo solo, addirittura avere 78 anni, parlo sempre in via teorica, e desiderare un figlio. Il diritto oggettivo c’è. Ma in questo caso, e non possono esserci dubbi, deve prevalere quel diritto del bambino che supera tutti gli altri» . Una pausa: «Per spiegarmi meglio. Il diritto egoistico dell’adulto di diventare genitore ha il suo spazio. Ma deve sempre e comunque cedere il passo alle ragioni del bambino. Cioè al suo buon diritto di essere allevato al meglio» .

Naturalmente non esiste una patente da attribuire ai futuri padri o alle future madri adottivi. Ma se lei dovesse proporre un identikit del buon/a genitore/genitrice singolo/a? «Mi rendo conto che non è materia legislativa… ma mi chiederei perché quell’individuo, maschio o femmina, abbia deciso di diventare genitore da solo. Cioè se in quell’adozione non cerchi una compensazione. Se è solo per scelta matura, e si trova bene in quella condizione, potrebbe andare benissimo. Se invece è solo, o è sola, perché apre continuamente conflitti con gli altri, allora il discorso è completamente diverso» .

In estrema sintesi? «Diciamo così che un singolo può essere sia un eccellente genitore che un genitore inadatto. Dipende… Faccio un esempio pratico. In molte separazioni gli ex coniugi litigano per l’affidamento, ma troppo spesso è un puntiglio. Ho incontrato padri che volevano tenere per loro i figli ma non ricordavano, a domanda precisa, il colore degli occhi né sapevano indicare il gusto preferito del gelato…».

Un discorso del genere porta lontano e si inoltra nel terreno delle norme legislative. Infatti il professor Levi, a questo punto, ammette di avere in mente un «provvedimento utopico» . E quale sarebbe? «Lo chiamerei “gravidanza adottiva”. Due eterosessuali che procreano hanno un bambino, punto e basta. Ma un genitore adottivo spesso ignora la pienezza di quell’esperienza. Bisognerebbe accertare, proseguendo l’adozione, se c’è per esempio piena disponibilità genitoriale».

Vuole dare lei, professore, una conclusione a questo discorso? «Sì. Visto il gran numero di coppie che desiderano adottare un bambino e visto il numero limitato di bimbi da adottare, se ora si aumenta il campo, sarà bene combattere la nascita di mercati di adozione. In Italia siamo bravi a fare leggi perfettissime sulla carta. Meno ad adottare il common sense britannico» .

(17 Aprile 2011)

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